A Pasquetta, il Cavanis immagato dal rosa e dal lapislazzolo
Dal Piave, ci inerpichiamo, con la sicura guida di Jacopo Longo, per la val del Boite fino a Cortina d’Ampezzo, da lì, attraverso il passo Tre Croci (dove lasciamo l’auto) cominciamo il percorso per il Sorapìss.
Nel bosco piuttosto fitto, a 1700 metri di quota, incontriamo un tipico cervide delle Dolomiti: un bell’esemplare di capriolo maschio, ancora col palco vellutato di peluria (il palco che i maschi solo portano cade all’inizio dell’inverno e si riforma all’inizio della primavera: ha la funzione di contribuire al combattimento tra i rivali all’inizio della stagione degli accoppiamenti).
Continuiamo la stradina forestale che si assottiglia fino a diventare un sentiero di montagna con delle viste del bellissimo monte Cristallo davanti a noi e sopra di noi già scorgiamo i torrioni del Sorapis che sovrastano la vallata. Ma dobbiamo guardare piuttosto a terra perché i nostri passi incontrano un dissesto da franamento dovuto alla discesa di un torrentello stagionale che porta a valle sabbie e ghiaie.
Su queste ghiaie su questi pendii dilavati e sterili ricomincia una colonizzazione primaria: le sassìfraghe (che sono specie di piante pioniere) riescono a rompere e frantumare le rocce superficiali fino a trasformarle in un terreno meglio colonizzabile da altre piante che lentamente faranno rinascere il bosco, con erbe, arbusti e alberi ad alto fusto…
Proseguiamo il sentiero di foresta matura di conifere e faggi, di solito molto frequentato dagli amanti di montagna; vediamo qua e là alberi morti che vanno lasciati al suolo, perché un albero caduto restituisce al sottobosco quanto ha consumato nel corso della sua vita. Incontriamo un gallo cedrone (un tetraonide, un vero e proprio relitto glaciale) con la livrea variopinta: ascoltiamo i suoi schiocchi sordi che servono a marcare il territorio. I galli cedroni a maggio si accoppiano, depongono le uova in un nido a terra che a giugno si schiudono. I pulcini, in poche settimane, raggiungono la grandezza dell’adulto a meno che non diventino preda degli agilissimi sparvieri e delle volpi.
Incontriamo anche un velocissimo falco pellegrino che di solito preferisce ambienti più aperti della foresta (come i dirupi ma anche le torri e i campanili delle nostre città).
Quando il bosco termina, usciamo allo scoperto: la salita si fa più ardua e dobbiamo anche fare qualche piccolo tratto in scalata (addirittura ci hanno preparato una scala di metallo, delle corde, dei cavi d’acciaio nei passaggi più pericolosi). In questo tratto del percorso vediamo dei panorami mozzafiato: le Tre Cime di Lavaredo, i Torrioni, il lago di Misurina…
A un certo punto incontriamo alcuni camoscio, della famiglia dei bovidi (come capre, pecore, mucche…) che difendono il territorio e si rincorrono per poter avere il dominio sul branco delle femmine.
Un abitante tipico di questo ambiente d’alta quota è la nocciolaia che raccoglie i semi delle piante di cui si nutre (per esempio: i pinoli delle pigne) e li nasconde in diversi posti in attesa di consumarli. La nocciolaia è capace di mantenere in mente centinaia di nascondigli, pur senza aver coordinate precise.
Se si dimentica qualche nascondiglio, i semi restano immangiati e diventano un modo originale che hanno le piante per diffondere i loro semi; è un bell’esempio della rete fitta di relazioni tra esseri viventi. E’ una delle ricchezze della biodiversità nell’ambito delle relazioni tra gli ecosistemi….
Entriamo nell’ultima macchia boschiva in alta quota (siamo a 1900 metri di altezza) tra massi e rocce sporgenti. E scorgiamo a distanza una lince, un gattone totalmente solitario, diffidente, silenziosissimo, agile… Lascia delle tracce odorose sulle pietre o sui rami per comunicare agli altri individui il suo periodo di fertilità…
Finalmente arriviamo a vedere il Dito di Dio, la propaggine aguzza che si riflette sul laghetto azzurrino sottostante. Il Sorapiss (che vuol dire letteralmente “sopra le cascatelle) è un circo glaciale, cioè una depressione di origine glaciale, a forma di anfiteatro, generalmente chiuso nella direzione verso valle da una soglia rialzata.
Il color lapislazzolo di questo straordinario laghetto è dovuto alle polveri dei materiali che vi sono immersi: se mettiamo dentro un piede solleviamo la fanghiglia e lo specchio d’acqua diventa marrone-grigio…
Prima di entrare nel rifugio del CAI, assistiamo alla enrosadira, il fantastico fenomeno luminoso che colora di rosa all’alba e al tramonto tutte le Dolomiti. Questa particolare colorazione avviene quando la luce del sole colpisce i carbonati di calcio e magnesio che compongono le rocce dei versanti scoscesi.
Questo il link alla registrazione dell’evento