QUANDO LE MACCHINE VIAGGERANNO DA SOLE
Paolo Rech ha sempre avuto una testa eccezionale. Ha insegnato per due anni (2010-2011) al Cavanis (Matematica e Informatica nel biennio finale delle superiori)
Cosa ricordi della scuola di Possagno, Paolo?
Ti dirò, è stata un’esperienza favolosa che mi ha fatto capire cosa volevo fare nella vita.
Quando te ne sei andato da Possagno, dove sei passato?
Era il 2012 e mi hanno chiamato a fare il professore associato presso l’UFRGS, in Brasile. Poi sono diventato ricercatore al Los Alamos National Lab e professore in visita ai Jet Propulsion Labs, a Pasadena (negli Stati Uniti) e alla Northheastern University di Boston, USA….
Non ti stai allontanando troppo dalla tua, nostra terra veneta?
Guarda, l’anno scorso ho ricevuto un premio prestigioso che mi ha dato molta soddisfazione (il Premio Society Impact dal Rutherford Appleton Laboratory del Regno Unito) e recentemente sono diventato borsista del Programma Europeo Marie Curie Actions… ma mi sento più legato affettivamente a un altro riconoscimento, quello che mi ha riservato il Comune di Mussolente per i successi e le eccellenze nella mia ricerca. No, non mi sento lontano dall’Italia. Anzi, perché non mi inviti al Cavanis per presentare il mio lavoro ai tuoi ragazzi?
Ma, dimmi Paolo: tu esattamente di cosa ti occupi?
La mia ricerca è diretta a realizzare veicoli autonomi, e altri sistemi informatici critici di sicurezza, sufficientemente affidabili.
Cioè tu progetti auto senza autista umano…
Sì, diciamo così: mi occupo di auto… autonome perché in futuro ridurranno di due o tre volte il numero di incidenti stradali.
Perché queste auto autonome non sono ancora in circolazione ?
Gli attuali sistemi di autoguida non sono ancora sufficientemente affidabili per essere adottati su larga scala. In particolare, la rilevazione di oggetti, compito critico nei veicoli autonomi, è stata dimostrata altamente independibile.
Da quanto tempo ti occupi delle auto autonome?
Lavoro ai veicoli (non solo auto, ma anche veicoli per l’esposizione spaziale) da ormai sei anni. All’inizio lavoravamo sull’affidabilità dei sistemi di calcolo per supercomputers, poi abbiamo capito che gli stessi problemi e gli stessi dispositivi sarebbero stati necessari per i veicoli autonomi (una macchina autonoma é un supercomputer).

Quando dici “abbiamo capito”, vuol dire che non sei solo nelle tue ricerche…
Lavoro con un sacco di persone. Adesso al Politecnico di Torino, che ha una lunga storia sia di affidabilità che di industria spaziale e ovviamente automotive. Poi c’é un gruppo di ricerca più vasto che va dai laboratori Rutherford Appleton di Oxford ai laboratori di Los Alamos, a Jet Propulsion Lab. della NASA, e ovviamente all’UFRGS in Brasile dove sono ancora professore associato e dove trovo ragazzi bravissimi, alla Spagna, al Canada, alla Francia… C’é una grandissima discussione e una splendida collaborazione.
La ricerca si fa insieme, da soli non si va da nessuna parte. Ci sono tantissime persone che devo ringraziare.
C’entra qualcosa la neuroscienza con le auto autonome?
Non a livello biologico ma a livello concettuale sì. Alla fine l’unico sistema che conosciamo che riesce a prendere una decisione “non programmata” é il nostro cervello: quindi l’idea é cercare di emularlo. Invece di scrivere un codice deterministico che verifica certe condizioni per identificare un oggetto si crea una rete di neuroni (informatici, non cerebrali!) e le si insegna (sì, proprio così: le si insegna, come si fa con i ragazzi a scuola) come si guida. Questo perché scrivere un codice che consideri tutte le variabili (infinite) associate alla guida é impossibile.
Quindi avremo macchine intelligenti, come noi?
No, voglio sfatare un mito: l’intelligenza artificiale non é… intelligente. Non prende iniziative. Fa solo quello che le abbiamo insegnato di fare.
Perché le auto automatiche non riescono a rilevare facilmente un ostacolo?
Ma proprio perché ci sono infinite sfumature. Come fai a descrivere un muro o un pedone in maniera precisa e accurata? E’ impossibile. Dipende non solo dal tipo di muro o di persona, ma anche dalla luce, dalla posizione.
E quindi?
E quindi serve usare un’altra filosofia di programmazione: le reti neurali, appunto.
Delle reti… cosa?
Le reti neurali: sono gruppi di neuroni informatici che svolgono una determinata funzione. Per ogni immagine la rete neurale estrae le caratteristiche dell’oggetto che lei ritiene più importanti (colore? forma? bordi? boh…, lo so sa solo lei). Fai conto che per ogni immagine si estraggono centinaia di caratteristiche e poi la rete neurale decide di che oggetto si tratta. Tutto questo deve essere fatto molto velocemente, altrimenti all’oggetto ci andiamo addosso. Quindi, operazioni complesse, tante operazioni complesse, e poco, pochissimo tempo. Per dirti, é molto più facile fare un veicolo autonomo per Marte.
Lì non si va addosso a nessuno!
C’è una domanda, Paolo, che non ti ho fatto?
Quando mi inviti al Cavanis per parlare ai ragazzi della mia ricerca?