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Quell’accendino che è nato nelle trincee del Grappa

Fin da piccolo mi dedico a esplorare i luoghi della Grande Guerra. Secondo i racconti di mio padre, dietro casa mia vi era una delle strade che consentiva ai rincalzi italiani di arrivare in prima linea sul versante orientale del Grappa. E il mio bisnonno gli raccontava di essere dovuto scappare via profugo mentre bombardavano il paese. Sulla base di questi ricordi di famiglia, annoiato dalla reclusione per il coronavirus, “armato” del mio fidato metal detector, oggi ho provato a salire la strada vicina a casa mia, la stessa che percorrevano le truppe verso le trincee… Subito i risultati non arrivavano, al massimo lo strumento segnalava qualche scheggia. Ma continuai la salita, a poche centinaia di metri da casa, fino a un luogo che in passato avevo già adocchiato perché vi si possono ancora vedere i resti dei trinceramenti italiani. Stamattina c’era un sole brillante e il bosco attorno a me era una meraviglia. Ma anche lì, nessun reperto. Pensavo a quanti, prima di me, erano già passati in quel luogo con lo stesso mio interesse: i soldati, prima di tutto, che da tutta Italia erano saliti per le mulattiere di questo monte per difendere la patria durante le battaglie dell’arresto e del Solstizio. Poi il mio pensiero andò ai primi recuperanti che, appena finita la guerra, per necessità di portare a casa il pane, raccoglievano di tutto, dal filo spinato alle ruote, alle granate, rischiando la vita sulle bombe ancora attive. Mi è venuto in mente il film “I recuperanti”, di Ermanno Olmi, in particolar modo la scena nella quale il vecchio Du dice: ’’qui c’è roba per duemila anni!’’. Ho sorriso tra me e me, pensando che in cento anni, ormai, la gran parte del materiale è già stato recuperata e portata via. E ho pensato a tutti i recuperanti che continuano a praticare quest’attività, ormai solo per passione più che per necessità… Ero ormai rassegnato a tornare a casa praticamente a mani vuote, quando il mio metal detector segnalava la presenza di materiale ferroso in un punto non ancora sondato: ho raccolto da terra un oggetto che, a prima vista sembrava un proiettile per il Carcano mod. 91, un fucile a otturatore girevole-scorrevole, in uso nel Regio Esercito Italiano durante la Grande Guerra. Ma dopo averlo pulito, ho notato come l’ogiva fosse molto più piccola del normale e come facilmente si riuscisse a rimuoverla dal bossolo in ottone. All’interno non era presente la normale carica di lancio, ma c’era uno stoppino: ho concluso di aver trovato un proiettile trasformato in un accendino fatto a mano, da chissà quale soldato, usando un proiettile in dotazione al suo fucile. Anche se ero incerto perché ho notato che il fondello del colpo era diverso dal normale e che la precisione di lavorazione era forse troppo curata per pensare al lavoro di un soldato che attendeva l’ordine d’attacco o di difesa in trincea. Con questo mio unico trofeo sono tornato a casa. Sentivo solo il rumore dei miei passi sulla strada: ho pensato a come questi luoghi, oggi così silenziosi e senza nessuno che li percorra, circa cento anni fa fossero teatro di una guerra senza precedenti, che lascia ancora oggi il segno del suo passaggio. Quando sono rientrato a casa, ho mostrato il mio strano ritrovamento a mio papà il quale, dopo uno sguardo da ‘’sei il solito fortunato’’, mi fece capire che la mia ipotesi era quella giusta: quel proiettile così particolare era proprio un accendino realizzato da un soldato trattenuto nella trincea, in un momento di noia. A questo punto l’emozione diventò grande, era la prima volta che mi capitava di fare un ritrovamento così singolare: mi meravigliava soprattutto che quell’oggetto fosse rimasto interrato per più di cento anni, attendendo di rivedere la luce. Questo reperto valeva molto di più dei classici colpi d’artiglieria shrapnel tanto ricercati da parte mia. Finito il momento di euforia da ritrovamento, ho rivolto il pensiero a quel soldato che aveva impiegato lungo tempo per trasformare quel proiettile in un oggetto tutto suo. Mi sono chiesto se quel ragazzo abbia fatto ritorno a casa o se invece la sorte gli abbia riservato qualche tragico destino. Ho guardato gli altri reperti posti nella mia stanza, in particolare i bicchieri degli shrapnel e mi sono domandato cosa essi abbiano potuto causare nel corso della guerra Capisco, in realtà, che tutto ciò che ritroviamo nei campi di battaglia è unico, ma soprattutto che ogni cosa ha la sua storia che s’accompagna all’esistenza di chi l’ha creata….

(il testo è di Giovanni Virago, nostro studente della classe seconda liceo Scienze Umane: appena saputo del ritrovamento, l’associazione ”Amici del museo” di Alano di Piave ha chiesto a Giovanni di scriverne la storia. Che ci ha consegnato in anteprima!).

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