Tra favelas e sorrisi: il Brasile che mi porto nel cuore
Nell’agosto del 2025 ho avuto l’opportunità di vivere un’esperienza unica che porterò sempre con me: il mio viaggio di volontariato in Brasile. Non è stata una scelta casuale, ma un percorso che in un certo senso era già stato tracciato dai miei genitori, che da giovani hanno trascorso diverso tempo in Brasile per attività di volontariato. È stata la loro testimonianza, unita alla mia irrefrenabile curiosità di conoscere il mondo, che mi ha spinta a mettermi in cammino sulle loro orme.
Fin dall’arrivo mi sono sentita immediatamente accolta con grande calore dalle persone che hanno ospitato me e il resto del gruppo. La prima cosa che mi ha colpito è stata infatti la spontaneità e la sincerità di ogni saluto, sempre accompagnato da un abbraccio. Quella naturalezza nel contatto fisico, così diversa dalle nostre abitudini, mi è sembrata però incredibilmente vicina al mio modo di essere.
Abbiamo iniziato la nostra avventura visitando diverse favelas, tra cui la Favela da Mangueira e la Favela do Vidigal, accompagnati da persone del posto. Entrare in questi luoghi non è stata solamente una semplice visita, ma un’immersione completa in un mondo fatto di storie ed esistenze che vivono al margine e che tuttavia custodiscono una ricchezza inspiegabile.
È proprio lì che ho vissuto un episodio capace di scuotere il mio modo di vedere la realtà: lungo il percorso abbiamo incontrato un uomo che rovistava nella spazzatura. Questa scena incarnava perfettamente ciò che temevo di incontrare: la miseria, la fatica quotidiana per sopravvivere, la fragilità di chi sembra non avere nulla. Eppure, quando gli ho rivolto un semplice “buongiorno”, la sua risposta ha ribaltato la mia percezione: “Eccome che è un buon giorno, c’è il sole e c’è Dio.” In quelle parole, all’apparenza ingenue, ho percepito tutta la gratitudine verso ciò che di bello ci circonda ogni giorno: un raggio di sole, la vita stessa, la fede in qualcosa che dà senso all’esistenza. Ed è proprio questo ciò che non può essere sottratto da nessuna povertà materiale. È stato il primo insegnamento che il Brasile mi ha donato: la vera ricchezza non sta nell’avere molto, ma nel saper riconoscere la bellezza e la speranza in ogni giorno.
Questa stessa lezione si è riflessa anche nei luoghi che abbiamo visitato e nelle esperienze che abbiamo condiviso. Dopo l’incontro con gli abitanti delle favelas, abbiamo avuto l’occasione di immergerci nella natura con alcune escursioni, lasciandoci a bocca aperta per la bellezza dei paesaggi. Dall’alto, però, si vedeva con chiarezza la contraddizione di questo Paese: i palazzi moderni e lussuosi dei quartieri ricchi affiancati alle favelas, spesso senza confini netti. Quella vitalità del paesaggio era un contrasto evidente con la povertà materiale che avevamo incontrato, ma allo stesso tempo ne rivelava un tratto comune: la capacità di resistere e di non lasciarsi spegnere dalle difficoltà.
Un momento particolarmente intenso è stato l’ingresso al carcere minorile. Se la natura mi aveva trasmesso energia e bellezza, lì ho visto invece la durezza della privazione e del limite. Non è stato facile confrontarsi con la condizione di tanti giovani segnati da storie difficili, ma proprio in quell’ambiente ho compreso il valore dell’educazione come unica via di riscatto, come possibilità concreta di un futuro diverso.
Proprio l’educazione è stata al centro di molte attività formative che abbiamo svolto. Abbiamo visitato vari centri educativi per i bambini delle favelas e di strada a Grajaù, Duque de Caxias e São Cristóvão. Lì non ci siamo limitati a guardare: abbiamo lavorato insieme ai ragazzi, dipingendo le pareti di una piccola scuola e condividendo momenti di creatività e di gioia, tra cui lezioni di capoeira, simbolo della loro cultura. Ogni momento era accompagnato dall’energia positiva e dalla gratitudine che ricevevamo, travolgendoci con entusiasmo e vitalità.
E sono stati proprio questi momenti a farmi capire che ero partita pensando di portare il mio aiuto verso qualcuno meno fortunato di me, ma scoprendo poi che ciò che ho ricevuto, in termini di valori e consapevolezze, è immensamente più grande.
Prima di partire pensavo infatti che la pietà sarebbe stato il sentimento predominante, dovuto anche al mio carattere estremamente sensibile. Ciò che invece ho trovato mi ha spiazzato: nei volti delle persone non c’era rassegnazione, la povertà non dominava gli animi della gente. Al contrario, ciò che li accompagnava erano sorrisi autentici, solidarietà e capacità di condividere la semplicità della vita. Ho provato ammirazione e rispetto, non compassione. Paradossalmente, la vera pietà l’ho sentita verso i ricchi, spesso prigionieri dell’indifferenza e della superficialità.
Questo viaggio mi ha fatto crescere, mi ha insegnato a guardare oltre i confini del mio mondo quotidiano e a comprendere meglio il valore della responsabilità e dell’impegno verso gli altri. Tornare a casa con questo bagaglio di emozioni e ricordi significa portare con sé non solo immagini e parole, ma soprattutto la consapevolezza che il cambiamento è possibile e che passa anche attraverso gesti semplici di solidarietà.
Sono sicura che questo sia stato solo un piccolo assaggio di una delle realtà più complesse che ho visto fino ad ora, ma anche l’unica che è riuscita a rubarmi il cuore in maniera così spontanea, lasciando un pezzo di me tra i sorrisi, le risate e gli abbracci di persone scolpite per sempre nella mia anima.
Sofia Panazzolo


