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Il Cosmo, la musica e il futuro: Sebastiano intervista il premio Nobel Saul Perlmutter

Mi chiamo Sebastiano e sono uno studente del Liceo Scientifico Canova dell’Istituto Cavanis, sono appassionato di Fisica e in particolare di Astrofisica. Nel contempo, sono da sempre un musicista, trombonista in orchestre di musica classica e gruppi jazz. Dalla mia esperienza ho appreso e verificato che quando ci si mette in gioco in una materia che è in sintonia con le nostre inclinazioni, i risultati arrivano e con essi anche le opportunità, talvolta così grandi da andare oltre le nostre aspettative e da rappresentare il mezzo per trasmettere qualcosa a molte persone.

Una di queste opportunità, la più bella e la più recente, è stata quella di riuscire a intervistare un fisico di fama internazionale, premio Nobel per la Fisica 2011, a sua volta bravo musicista e professore presso UC Berkeley dove, tra i numerosi incarichi, tiene un corso di Fisica e Musica.

Saul Perlmutter ha ricevuto il Premio Nobel per la Fisica nel 2011, condividendolo per la scoperta dell’espansione accelerata dell’universo. È professore di fisica presso l’Università della California, Berkeley e scienziato senior presso il Lawrence Berkeley National Laboratory. È a capo del progetto internazionale Supernova Cosmology, direttore del Berkeley Institute for Data Science e direttore esecutivo del Berkeley Center for Cosmological Physics. Ha conseguito la laurea ad Harvard e il dottorato di ricerca all’Università della California, Berkeley. Oltre ai numerosi premi e riconoscimenti ricevuti, è membro della National Academy of Sciences, dell’American Academy of Arts and Sciences, dell’American Physical Society e dell’American Association for the Advancement of Science.

Perlmutter ha inoltre scritto articoli divulgativi ed è apparso in diversi documentari prodotti da PBS, Discovery Channel e BBC. Il suo interesse per l’insegnamento del pensiero critico in stile scientifico, rivolto sia a scienziati che a non scienziati, lo ha portato a tenere corsi a Berkeley su temi come “Ragione e sentimento” e “Scienza, fisica e musica”.

Grazie alle sue scoperte, Saul Perlmutter ha rivoluzionato profondamente la nostra comprensione del cosmo.

Ho incontrato il professor Perlmutter via Zoom il 16 aprile 2025 alle 2 di notte italiane, in ragione delle 9 ore di fuso orario rispetto alla California. Quindi era la notte di una giornata infrasettimanale in cui ero stato a scuola la mattina, in conservatorio il pomeriggio, avevo studiato per una verifica del giorno dopo per la quale ero come sempre preoccupato, e dovevo intervistare un premio Nobel della Fisica, professore presso una delle più prestigiose università al mondo per il dipartimento di Fisica, in una lingua non mia… Insomma, non proprio la mia comfort zone.

Il professor Perlmutter, però, è una persona talmente accogliente e disponibile, potrei dire amabile, che non mi ha fatto quasi avvertire il peso di quell’impresa.

La nostra conversazione ha preso il via parlando di musica; lui mi ha chiesto dove suono e che tipo di concerti sto preparando, e io ne ho approfittato per chiedergli una delle mie curiosità, ovvero se le peculiarità che ti rappresentano in quanto musicista siano le stesse di uno scienziato.

Lui mi ha confermato che esistono molte aree di convergenza tra Musica e Scienza: «Ci sono diverse aree di sovrapposizione», «e infatti molte persone che si occupano di Musica sono anche interessate alla Scienza, coinvolte nella Scienza».

Una connessione, quella tra le due discipline, che non è solo superficiale o culturale, ma che affonda le radici nei meccanismi stessi della conoscenza e della percezione. «Molti dei concetti che insegniamo per capire come funziona la Musica — sia in termini di suono, acustica e tutto il resto — si ritrovano anche in tutti gli altri ambiti della Fisica».

Mi ha raccontato, a questo proposito, del corso che tiene all’Università di Berkeley, Physics & Music, pensato proprio per esplorare le basi comuni dei due linguaggi. «Stavo tenendo il corso senza usare la matematica, ma utilizzando molti grafici e altre tecniche per permettere agli studenti di capire a fondo come funzionano certi concetti. E poiché avevano assimilato quei concetti, alla fine sono riuscito a spiegare loro, nell’ultima lezione, una sezione su come comprendiamo l’espansione dell’universo e ciò che oggi sappiamo sulla Cosmologia».

Con questo esempio, il professore ha voluto sottolineare che i processi cognitivi alla base dell’apprendimento della Musica e della Fisica sono i medesimi.

Siamo poi entrati nel merito della straordinaria scoperta scientifica che ha portato il professor Perlmutter a ricevere il Premio Nobel per la Fisica.

Abbiamo ripercorso insieme la genesi e il contesto della sua ricerca, cercando di comprendere non solo gli aspetti scientifici, ma anche quelli umani ed emotivi legati a un percorso di studio lungo circa dieci anni. Un cammino costellato di momenti di stallo, dubbi e incertezze, alternati a scoperte sconvolgenti e — come in questo caso — del tutto inattese.

L’obiettivo iniziale del progetto era quello di misurare il rallentamento dell’espansione dell’universo e magari individuare segnali del suo possibile arresto futuro. I risultati ottenuti, invece, portarono a una conclusione rivoluzionaria: l’universo non solo non sta rallentando, ma la sua espansione sta accelerando.

Sul piano scientifico io avevo già studiato la sua ricerca, ed ero incuriosito dagli aspetti legati al vissuto individuale di questo percorso di ricerca, e quelli sociali e relazionali. Mi chiedevo come dei risultati tanto contrari alle conoscenze note e già accettate come dati di fatto fossero stati accolti dalla comunità scientifica, lo sforzo relativo alla divulgazione di dati così inattesi, il rapporto con le équipes di ricerca concorrenti… Insomma, immedesimandomi nel ruolo di ricercatore scientifico volevo capire come ci si sente, come si vive in questi panni, pensandomi in un mio futuro lavorativo.

Poi mi sono chiesto: “Come una scoperta ne attira un’altra? Come si procede a indagare dopo aver individuato qualcosa? Che direzione ha preso la ricerca dopo che è stata individuata la presenza di un’energia oscura?”.

Il professor Perlmutter mi ha risposto che la fase successiva alla scoperta è stata dedicata soprattutto allo sviluppo di tecniche in grado di ottenere misurazioni sempre più precise:

«Il periodo da quando abbiamo capito per la prima volta di avere un’energia oscura da esplorare è stato principalmente dedicato allo sviluppo di tecniche che ci permetteranno di ottenere una misurazione utile».

Poi è entrato nel vivo della ricerca più recente, spiegandomi quanto oggi ci si trovi in un momento potenzialmente decisivo:

«È solo ora — proprio quest’anno, credo — che abbiamo iniziato a vedere le prime misurazioni che stanno davvero iniziando a dirci qualcosa, con il livello di dettaglio che ci serve per comprendere. In realtà, è stato lo scorso primavera che la tecnica delle oscillazioni acustiche barioniche ha raggiunto per la prima volta quel livello. E hanno pubblicato il secondo risultato solo una o due settimane fa…».

Naturalmente, ha sottolineato quanto queste misurazioni debbano essere confrontate con i dati raccolti tramite l’osservazione delle supernove, ma ha anche accennato a una possibilità che, se confermata, cambierebbe radicalmente le nostre attuali teorie:

«Non sappiamo ancora con certezza se crederci, ma le prime prove suggeriscono che potremmo stare osservando un cambiamento nel tempo del comportamento dell’energia oscura. E questo significherebbe che non si tratta della costante cosmologica di Einstein. Sarebbe un’altra forma di energia per la quale non disponiamo di una fisica valida. Quindi, sarebbe davvero entusiasmante se fosse vero”.

Le parole del professor Perlmutter mi hanno fatto riflettere sul potenziale rivoluzionario che si cela dietro la scoperta dell’energia oscura. Pensare che oggi — proprio in questi mesi — i dati stiano iniziando a mostrarci indizi di un suo possibile cambiamento nel tempo è qualcosa di profondamente emozionante. Significa che ci troviamo davanti a una frontiera della conoscenza in cui potrebbero nascere nuove teorie, nuovi modelli, forse persino una nuova fisica. Questo mi ha fatto percepire quanto la ricerca scientifica sia un processo vivo, dinamico, in continuo divenire, e che stiamo aprendo nuovi scenari completamente inediti che potrebbero portare a ridefinire i fondamenti della nostra comprensione del mondo.

L’innovazione, in fondo, nasce proprio da una discrepanza tra ciò che ci aspettiamo e ciò che invece osserviamo nella pratica, e queste nuove osservazioni inattese ci danno l’opportunità di costruire strumenti migliori, progettare esperimenti più ambiziosi e progredire nelle nostre conoscenze e capacità. Come studente, sentire che questa fase così cruciale della ricerca si sta svolgendo ora, nel presente, è incredibilmente stimolante. Mi fa percepire la scienza come un’avventura e un’opportunità di spingersi oltre quello che gli altri possono anche solo immaginare.

Uno degli altri grandi temi che mi assillano, dovendo fare una scelta molto importante come sarà quella dell’ambito dei miei futuri studi, è il criterio con cui si arriva a una scelta. Bisogna privilegiare una curiosità individuale, scegliere l’ambito che ci sembra più interessante, o strategicamente pensare alla rilevanza di una determinata ipotetica scoperta oppure, nell’ottica del benessere per la comunità, pensare a quali scoperte sarebbero più utili nella nostra epoca storica. Quindi gli ho chiesto come è arrivato a scegliere la direzione della sua ricerca.

Lui mi ha spiegato che è partito da una sua attitudine, da un suo interesse personale, perché non aveva ancora trovato “Un argomento su cui volessi assolutamente fare ricerche”, ma “Ho sempre saputo di volere qualcosa che trasmettesse delle implicazioni filosofiche”.

Questo è stato un altro elemento che me lo ha fatto sentire vicino: non è usuale accostare lo studio della scienza a quello della filosofia, però si tratta di un parallelismo che anche io come studente di liceo ho fatto, pensando tante volte che valesse la pena studiare i filosofi classici in quanto erano le persone più intelligenti della loro epoca, impegnate a tempo pieno nella professione del pensatore, pertanto avranno partorito ragionamenti e idee degne di essere studiate. Non a caso molti filosofi furono abili scienziati.

Il professor Perlmutter tra le sue attività più recenti, oltre a essere coinvolto nella missione Nancy Grace Roman Space Telescope della NASA, dedicato allo studio dell’energia oscura, degli esopianeti e della struttura dell’universo, è attivo nel campo della filosofia della scienza, promuovendo il pensiero critico e l’insegnamento scientifico. Conduce progetti interdisciplinari che integrano Fisica, Filosofia e Scienze Cognitive.

Ovviamente non ho perso l’occasione di chiedergli quale tipo di studio mi consiglierebbe di intraprendere e lui mi ha invogliato ad approcciarmi alle sue ricerche: “Perché penso che stiamo solo ora raggiungendo il livello di precisione degli esperimenti che potrebbe dirci qualcosa sui misteri dell’energia oscura, della materia oscura. Ma non ci sono garanzie, perché non sappiamo mai se siamo al livello giusto o se ci vorrà un’altra generazione o più per arrivarci.

Quindi, penso che valga ancora la pena, in questo particolare periodo, spingersi un po’ più avanti e vedere cosa succede… Voglio dire, potrebbe essere un periodo molto emozionante nei prossimi cinque o dieci anni”.

L’intervista si è conclusa ancora una volta parlando di musica, anzi, nella sua signorile umiltà è stato lui a dire a me, rispetto all’ipotesi che io vada a studiare a Berkeley: “Beh, è bello parlare. E, sai, se sei qui, ovviamente, avremo la possibilità di incontrarci di persona”.

Sebastiano Sgarbossa, 31 maggio 2025

bidenwhitehouse.archives.gov/pcast/members/saul-perlmutter
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